La gomma è una risorsa con molte criticità: c’è una realtà italiana che la recupera

La gomma naturale è conosciuta da millenni ma il suo pervasivo impiego industriale si deve al genio sfortunato di Charles Goodyear, che scoprì la vulcanizzazione nel 1839. Da allora sono passati 181 anni, un lungo periodo che ha visto il fiorire della chimica industriale e la sintesi di innumerevoli polimeri chiamati “gomma sintetica”. Nonostante questi rimarchevoli sviluppi la gomma naturale ha conservato un ruolo molto importante nell’industria, ad esempio per le coperture destinate ai mezzi pesanti.

Il valore del mercato globale della gomma era di 40,71 miliardi di dollari ma le proiezioni parlano di 60,38 miliardi di Usd entro il 2026, con un tasso di crescita annuale composito (Cagr) del 5,1% nello stesso periodo.

 

 

Impieghi infiniti

La gomma naturale è fatta di vari composti organici e polimeri, compreso l’isoprene, e la maggior parte di essa viene dal lattice dall'albero della gomma anche se si stanno studiando altre coltivazioni. Sappiamo che le gomme hanno tantissimi utilizzi: tubi, adesivi, elementi di tenuta e smorzanti, pavimentazioni, cinghie, nastri trasportatori, apparecchi medicali, presidi chirurgici, rivestimenti e, ovviamente, pneumatici e coperture di ogni tipo. I pneumatici, per esempio, sono fatti per circa il 40% di gomma e quelli per uso pesante vedono predominare la gomma naturale rispetto a quella sintetica. Molti settori vedono però un progressivo spostamento verso la gomma sintetica per le sue buone qualità e si prevede che essa fino al 2026 produrrà i ricavi maggiori.

In ogni caso la domanda della gomma naturale è prevista in crescita, sia per l’aumento del parco circolante sia perché nei paesi produttori essa è più economica di quella sintetica.

 

Materie prime aleatorie

Rimane il fatto che sia la gomma sintetica sia quella naturale sono materiali il cui approvvigionamento è soggetto a fluttuazioni casuali e fattori geopolitici. Sappiamo bene quanto instabili siano molti dei paesi produttori di petrolio, importantissima materia prima della gomma sintetica che può inoltre esaurirsi, ma anche la gomma naturale ha una situazione simile.

Nel novembre dello scorso anno, per esempio, i principali produttori – Thailandia, Indonesia e Malesia – hanno stimato un calo di 800.000 tonnellate nella produzione di gomma naturale nel 2019 rispetto al 2018. La proiezione, diramata dall’organizzazione che riunisce i tre paesi, l’International tripartite rubber council, tiene conto di un’epidemia di malattie fungine nelle piantagioni di alberi della gomma. I tre paesi del sud-est asiatico valgono il 70% della produzione mondiale ed erano già in difficoltà per un calo della domanda. La domanda stagnante (che aveva indotto a tagliare la produzione per cercare di sostenere i prezzi) aveva depresso le quotazioni e quindi i coltivatori avevano trascurato le piantagioni, rendendole più vulnerabili.

 

Recuperare è meglio

Questi fattori d’instabilità rendono molto desiderabile il riutilizzo della gomma, una pratica che si scontra però proprio con quella vulcanizzazione che la rende pienamente utilizzabile. Il materiale vulcanizzato non è in pratica lavorabile ulteriormente e lo si può solo triturare e usarlo come filler.

Sono quindi benvenute iniziative come quella di Rubber Conversion che recupera la gomma dei pneumatici fuori uso riuscendo a devulcanizzarla.

L’azienda ha un impianto produttivo a Cerea, in provincia di Verona, e sede legale e amministrativa a Rovereto.

L’attuale produzione consiste di due linee: la produzione di mescole NR/SBR partendo da pneumatici e la devulcanizzazione “su commissione” di scarti e sottoprodotti di lavorazione della gomma. Le sigle NR e SBR indicano rispettivamente Natural Rubber e Styrene-butadiene Rubber, ossia la gomma sintetica. La mescola prodotta, chiamata SRC, è disponibile in tre versioni, con il tipo UHE 450 contenente solo polimeri di gomma naturale. La devulcanizzazione conto terzi è invece applicabile anche alle gomme sintetiche butiliche (IIR), a base di Propilene/Etilene (EPDM, molto usate nei sistemi frenanti che usano fluidi a base di Glicole) e quelle nitriliche NBR, resistenti agli agenti chimici.

 

Tagliamo i costi

Questa lavorazione permette ai produttori di mescole e agli stampatori di articoli in gomma di riutilizzare scarti e residui. Il vantaggio è duplice, anche alla luce di quanto ci ha detto Giovanni Corbetta, direttore generale di Ecopneus, nell’intervista pubblicata sul numero 6 del 2019 di Pneurama: si evitano i costi di smaltimento e si riduce il consumo di materie prime, dato che la mescola SRC può essere anche il 50% del nuovo compound.

Rubber Conversion è una startup che nasce dall'esperienza di Innovando, attiva nella gestione dei rifiuti (essa tratta 60.000 tonnellate l'anno, una massa che proviene da circa 3.000 punti di raccolta) industriali.

Le soluzioni Rubber Conversion sono quindi in prima fila nella riduzione del conferimento in discarica di rifiuti e scarti della lavorazione della gomma e nel superamento delle difficoltà nella creazione di prodotti dalle materie prime seconde.

Il punto chiave del processo è proprio la devulcanizzazione, che avviene a temperatura e pressione ambiente con un processo misto meccanico-chimico. Il processo rompe “selettivamente” i legami zolfo fra le catene elastomeriche, che sono quelli che conferiscono le favorevoli proprietà meccaniche della gomma vulcanizzata. La rottura selettiva permette di lavorare nuovamente la gomma mantenendo in buona parte le proprietà originali.

Grazie alla cortesia di Cveta Majtanovic, business developer di Rubber Conversion e PhD ricercatrice all’Università di Trento, abbiamo saputo che l’azienda sta già trattando degli scarti di produzione dei prodotti in gomma per aziende del settore calzaturiero, movimentazione dei materiali (rulli e nastri), della componentistica automotive e dei dispositivi antivibranti.

 

Riconoscimenti e sinergie

Lo stretto legame con l’Università di Trento e con la fondazione Caritro ha portato al progetto RE-RUBBER, focalizzato sulla produzione di componenti automobilistici utilizzando un 25/30% di gomma derivata dagli scarti dello stesso settore, in un’ottica di riciclo chiuso. L’Università contribuisce alle aree delle nanotecnologie e di scienza e tecnologia dei materiali polimerici e dei materiali compositi.

La dinamica startup sta valutando l’ingresso di alcuni partner industriali e finanziari istituzionali per supportarne la crescita produttiva e lo sviluppo internazionale. È quasi superfluo dire che Rubber Conversion fornisce il tracking del materiale in tempo reale e supporta la gestione documentale, che sappiamo essere abbastanza impegnativa.

La vivacità industriale e, potremmo dire, intellettuale di questa realtà le ha consentito di raccogliere diversi riconoscimenti, come il Premio nazionale 2018 assegnato da Circular Economy Network. Anche all’estero si sono accorti della bontà di questo progetto, che ha fruttato il Keynes Sraffa Award, promosso dalla Italian Chamber of Commerce nel Regno Unito e dall’Intesa Sanpaolo Innovation Centre e consegnato a Londra a Cveta Majtanovic alla fine di novembre. Un riconoscimento importante che premia la sinergia fra la ricerca accademica e l’industria, unite nel nome di quel rispetto ambientale del quale la Terra ha estremo bisogno.