Processi sostenibili nella produzione dei nuovi elastomeri

Che vita difficile, quella degli elastomeri! Devono, chi più chi meno, resistere all’usura e mantenere le loro proprietà anche in presenza di temperature estreme e sollecitazioni chimiche e meccaniche. Come se non bastasse, a queste esigenze si somma con sempre maggior forza quella di rispettare l’ambiente sia in termini di materie prime sostenibili sia di consumo energetico. Queste condizioni sono state recepite dall’industria che ha proposto soluzioni innovative sia nel campo dei materiali sia in quello delle tecnologie.

 

I polimeri idrogenati di JSR

JSR Elastomer Europe, per esempio, è partita dal ben conosciuto trade-off fra la resistenza all’usura, migliorabile aumentando il il peso molecolare, e quella al rotolamento, che viene invece peggiorata da formulazioni di questo tipo. Aumentare la quantità di filler è un’altra via per migliorare la resistenza all’usura ma questo avviene ancora una volta a discapito della resistenza al rotolamento. Per conciliare queste esigenze contrastanti JSR ha sviluppato un polimero idrogenato nel quale una tecnologia di polimerizzazione specifica permette di controllare e rendere uniformi i legami fra le catene polimeriche. Questa regolarità promette di aumentare la resistenza all’usura del 50%. Sempre secondo JSR la presenza di un legame singolo dopo l’idrogenazione permette inoltre una rotazione più “libera” delle catene polimeriche che quindi si possono attorcigliare di più fra loro aumentando la resistenza all’usura. JSR ha già commercializzato il suo polimero HSBR (Styrene-Butadiene Rubber idrogenato) e prevede applicazioni in una gamma diversificata di tipi di pneumatici. Secondo il produttore gli HSBR contribuiscono alla sostenibilità dato che possono aumentare la scorrevolezza, ridurre l’uso di materiali ed estendere il ciclo di vita fino a 1,5 volte rispetto ai pneumatici convenzionali. Per stimare la struttura del reticolo JSR ha utilizzato un microscopio a forza atomica – AFM -che ha confermato la maggior uniformità del polimero idrogenato, che si è enche dimostrato più resistente alla degradazione dovuta all’ozono.

 

La piattaforma tecnologica Techsyn per la sostenibilità

Techsyn è una piattaforma tecnologica per i pneumatici nata dall’accordo fra nomi importanti dato che combina le gomme sintetiche di Arlanxeo con Silice custom di Solvay e innovativi processi di miscelazione proposti da Bridgestone. Questa piattaforma è stata lanciata circa un anno fa e promette una riduzione dell’usura fino al 30% e della resistenza al rotolamento fino al 6% conservando le altre caratteristiche dei pneumatici. Lo sviluppo di Techsin ha coinvolto diversi team dislocati a livello globale e ha previsto molte attività. Ci sono quindi stati lo sviluppo, i test e l’industrializzazione della nuova SBR (Styrene Butadiene Rubber), lo studio e i processi per la Silice modificata e la validazione da parte di Bridgestone per lo sviluppo della mescola e per la progettazione, l’incremento produttivo e la commercializzazione della tecnologia. Bridgestone sta implementando la produzione in serie di Techsyn per varie categorie di pneumatici e veicoli tenendo conto del bilanciamento l’equilibrio tra resistenza al rotolamento, usura e aderenza sul bagnato per soddisfare le diverse esigenze.

 

Versalis punta su copolimeri stirenici sintetizzati da bionafta

Il progetto dell’azienda italiana del gruppo ENI intende aumentare la sostenibilità dei copolimeri stirenici a blocchi (SBC), una classe di elastomeri che può essere processata come la plastica ma si comporta come una gomma. Il miglioramento della sostenibilità riguarda i monomeri, ossia i “blocchi” a partire dai quali si ottengono i copolimeri; questi ultimi sono caratterizzati dall’avere monomeri di diversi tipi, a differenza dagli omopolimeri. Versalis usa una bionafta a partire dalla quale, con processi di cracking, ottiene prodotti intermedi e i monomeri di stirene e butadiene necessari per la polimerizzazione. Il team di ricerca ha applicato un approccio di mass-balance certificato secondo la metodologia ISCC+: si tratta di uno standard molto usato che attesta la sostenibilità lungo tutta la filiera produttiva a partire da quella delle materie prime e delle biomasse. I prodotti possono essere certificati come bio-attributed – BA - se la materia prima è fatta di sostanze vegetali, o come bio-circular attributed – BCA - se la materia prima è ottenuta da scarti vegetali. Versalis dichiara di riuscire a produrre bionafta certificata ISCC+ dalla quale ottiene quindi SBC e polimeri di stirene butadiene BA e BCA utilizzando gli impianti convenzionali. Questi materiali bio-attributed hanno la stessa composizione e le stesse prestazioni dei polimeri prodotti con materie prime di origine fossile.

 

ETB sviluppa butadiene Bio per la produzione dei pneumatici

Il progetto della società russa ETB, specializzata in tecnologie catalitiche, mira alla costruzione di impianti di trasformazione del bioetanolo in butadiene, il monomero C4H6 alla base di molti elastomeri, quali polibutadiene e stirene-butadiene, e gomme come quella nitrilica e quella butadiene-metilstirene. L’idea è sviluppare sia impianti isolati sia integrati negli stessi siti nei quali si produce il butadiene a base fossile. Per raggiungere l’obiettivo ETB ha sviluppato un nuovo sistema catalitico che aumenta l’efficienza energetica e la resa in biobutadiene del processo catalitico sviluppato da S. Lebedev già negli anni ‘20 del secolo scorso. Si sono così ottenuti miglioramenti significativi nella sostenibilità della catena di produzione della gomma sintetica, insieme a vantaggi anche per l’industria dell’etanolo. La società russa ha annunciato una collaborazione con l’americana Trinseo (fornbitore globale di materiali ingegnerizzati e basi plastiche) per esplorare la fattibilità produttiva della tecnologia e in questo quadro è previsto l’avvio di un impianto pilota, che impiega la tecnologia di entrambe le società, per produrre il bio-butadiene dal’etanolo tramite il catalizzatore di ETB e un processo monostadio. ETB ha recentemente firmato accordi per la creazione di una struttura in un sito petrolchimico europeo e ha registrato una forte domanda, dall’industria della gomma sintetica, per i suoi monomeri a base biologica.

 

UPM Biochemicals sta sviluppando dei filler partendo dal legno

Il progetto dell’industria tedesca, che già produce glicole e resine a base di lignina, vuole creare filler attraverso la conversione di legno proveniente da fonti sostenibili. Il prodotto finale è un Renewable Functional Filler (RFF) adatto molti elastomeri, con UPM affermare questi filler possono sostituire parzialmente o completamente quelli tradizionali, compresi nerofumo e silice, in varie applicazioni quali pneumatici, prodotti per l’automotive, pavimenti e calzature. I principali vantaggi sono riduzione del. proprietà di isolamento elettrico migliorate e assenza di idrocarburi policiclici aromatici (IPA). La densità del materiale è minore di 1,35 g/cm³, che equivale ad almeno il 25% in meno rispetto ai tradizionali filler utilizzati dall’industria della gomma. UPM ha dichiarato di avere programmi “in una fase molto avanzata” con gli OE e i loro fornitori Tier 1 e 2 per approvare il prodotto. Nell’ottobre 2020 UPM ha posato la prima pietra della sua bioraffineria destinata a processare il legno a Leuna, in Germania, e ha dichiarato che gli RFF rappresenteranno una “percentuale significativa” della produzione dell’impianto, il cui avvio è previsto per la fine del 2022. Gli RFF sono attualmente prodotti su linee-pilota e sono già in fase di test sui materiali e sullo sviluppo di prodotti e applicazioni. L’azienda ha poi creato a Leuna un centro tecnico della gomma, dotato di moderni impianti per la creazione di mescole e i collaudi, e ha investito in un impianto pilota, più grande di quello di Leuna, in Finlandia. Gli ultimi dati di UPM indicano che l’azienda è in contatto con oltre 40 produttori globali di componenti in gomma e più di 10 player che stanno già facendo test su scala industriale utilizzando gli RFF.

 

Tyromer devulcanizza i pneumatici senza usare prodotti chimici

La vulcanizzazione è una medaglia a due facce: se da un lato impartisce ai materiali le prestazioni meccaniche che consentono di creare i perfezionati manufatti che ben conosciamo, dall’altro impedisce un facile recupero della gomma per reimpiegarla in nuovi prodotti. La tecnologia di devulcanizzazione di Tyromer utilizza un’estrusione a doppia vite per processare, in presenza di anidride carbonica, il granulato di gomma ricavato dagli ELT (End-of-Life Tyres) e da altri prodotti per ottenere Tire-Derived Products da miscelare con gomma ed elastomeri vergini per creare nuovi manufatti. Pneumatici per camion, anche off-road, e veicoli passeggeri con il 15-20% di TDP sono attualmente impiegati in prova su strada in Nord America e in Europa e un produttore di pneumatici per automobili sta definendo una mescola per pneumatici con il 30% di TDP. Tyromer sta affiancando al suo primo stabilimento in Olanda un secondo impianto a Windsor, Canada, per rifornire un importante marchio americano. Con il sostegno finanziario del governo olandese è stato inoltre costruito un terzo impianto di produzione dei TDP nei Paesi Bassi per essere vicino a un importante marchio europeo.