Pneumatici d’autore: l’espressione artistica incontra la gomma

Cerchiatura elastica per ruote di veicoli, costituita da un involucro deformabile contenente aria in pressione (pneumatici tubeless) o una camera d’aria gonfiata ad aria compressa. Abituati a maneggiarli ogni giorno in officina, come reagireste sapendo che i pneumatici possono trovarsi anche nei musei?

Installata lo scorso 5 settembre, la riproposizione dell’opera Yard di Allan Kaprow sarà visitabile gratuitamente fino al prossimo 16 febbraio a Roma nel cortile del Macro – Museo d’Arte Contemporanea della Capitale. Correva l’anno 1961 quando in occasione della collettiva Environments, Situations, Spaces presso la Martha Jackson Gallery di New York, l’artista Allan Kaprow dispose in modo del tutto casuale nel cortile della galleria centinaia di pneumatici usati dai quali emergevano cinque cumuli di carta catramata che coprivano delle sculture della collezione di Martha Jackson. Proprio come 63 anni fa, proprio in un cortile, i visitatori sono incoraggiati a camminare sui pneumatici, a lanciarli liberamente, contribuendo alla negazione dell’idea che l’opera debba necessariamente aspirare a una condizione definitiva e soddisfare un bisogno statico-contemplativo.
Allan Kaprow, Yard, 1961, Martha Jackson Gallery, New York. Courtesy Research Library, The Getty Research Institute, Los Angeles, California (980063) and the Allan Kaprow Estate © Ken HeymanAllan Kaprow non presentava una semplice distesa di pneumatici, ma promuoveva un oggetto da agire, un evento - non è un caso che lo stesso Kaprow fu il primo a teorizzare la corrente artistica happening (dal verbo to happen, accadimento, evento, forma d’arte che si esprime per immagini e che avviene in un tempo e in un luogo definiti) - in cui divenne imprescindibile la partecipazione attiva del pubblico che da semplice spettatore assurgeva al ruolo di autore dell’opera. Centinaia di pneumatici usati. Ma quando un oggetto a noi così familiare è entrato nel mondo dell’arte e di quale significato è stato caricato in ciascuno di questi casi? È un viaggio nella storia dell’arte guidati, è il caso di dirlo, dal pneumatico. In origine fu Marcel Duchamp (1887-1968), fedele alla poetica dadaista, a negare l’arte come luogo di contemplazione e di estasi, mettendone in discussione i codici espressivi. Il rifiuto dei canoni estetici Marcel Duchamp, Roue de bicyclette, 1913/1964, Museum of Modern Art, New York.   Copyright: Yann Caradec https://www.constraintudine.it/arte/larubricadelcontemporaneo/seconda-puntata/assoluti e la contestazione dell’aura di unicità dell’opera d’arte individuarono il proprio traguardo nel readymade: l’anti-opera per eccellenza. L’artista sceglie un oggetto già fatto, meglio se banalissimo e prodotto in serie, lo preleva dal suo contesto abituale, lo colloca nel mondo dell’arte caricandolo in questo modo di un valore artistico. Era il 1913 quando una ruota di bicicletta rovesciata e posta col mozzo in giù divenne opera d’arte: Duchamp ci sfidava a ricercare l’ordine estetico in un prodotto anonimo e irrilevante.

Qualche anno più tardi, nel 1919, l’artista Hannah Hoch (1889-1978), esponente del Dada berlinese, utilizzò la tecnica del fotomontaggio per restituire uno spaccato dell’ambiente culturale e politico della Germania di Weimar nell’opera Cut with the Kitchen Knife Dada Through the Last Weimar Beer-Belly Cultural Hannah Höch, Cut with the Kitchen Knife Dada Through the Last Weimar Beer-Belly Cultural Epoch of Germany, 1919-20, Nationalgalerie, Staatliche Museen zu Berlin. Copyright: www.flickr.com/photos/32535532@N07/3179940950 https://www.flickr.com/photos/32535532@N07/3179940950Epoch in Germany. Le contestazioni sono affidate all’urto di materiali reciprocamente incongrui, così che l’immagine del Kaiser Guglielmo II in veste imperiale è trasformata in poco più di un giocattolo, dal momento che la grande ruota all’altezza del petto potrebbe farlo girare come un giocattolo per bambini. Dopo una pausa di circa 30 anni, gli oggetti tornarono nel panorama artistico con l’avvento del movimento New Dada che raccolse l’eredità della più antica tradizione dell’avanguardia storica, il Dadaismo. Negli anni 50 del Novecento la società di massa iniziò a sfornare i suoi prodotti e l’arte si dimostrò pronta a registrare la grande avanzata del progresso delle merci connesse allo sviluppo e alla diffusione dell’industria pesante e dei suoi derivati. Il texano Robert Rauschenberg (1925-2008) accolse nelle sue opere il panorama urbano-merceologico di oggetti e beni di consumo, pneumatico compreso, dapprima timidamente, lasciando solo una traccia del suo passaggio, poi in maniera più tangibile. Per la realizzazione di Automobile Tire Print (1953) l’artista ricoprì un pneumatico con Robert Rauschenberg, Monogram, 1955-59, Moderna Museet, Stockholm.  Copyright: www.flickr.com/photos/gandalfsgallery/ https://www.flickr.com/photos/gandalfsgallery/52276371750inchiostro nero per poi stamparne la sindone su dei fogli di carta, alleggerendo un oggetto di per sé pesante e voluminoso, non senza che la strisciata della ruota generasse un pattern piacevole. Quel gesto era il frutto di un intervento meccanico scelto dall’artista come simbolo del mondo delle merci che intanto avanzava. Parallelamente Robert Rauschenberg iniziò a raccogliere oggetti per strada, nelle discariche e in ogni genere di negozio per poi assemblarli insieme dando origine alla serie Combines, opere che appunto combinano dipinti, sculture e oggetti di tutti i tipi con lo scopo di assottigliare la distanza tra la vita e l’arte. Tra le Combines più celebri c’è Monogram (1955-59) composta, nella terza e definitiva versione dell’opera, da una capra d’angora imbalsamata appoggiata su una tela stesa per terra, con la parte centrale che passa attraverso un pneumatico di automobile. Rauschenberg riscattò il pneumatico: da una parte lo elevò allo stato di opera d’arte, dall’altra utilizzò l’effetto sorpresa derivante dalla presenza di un oggetto familiare ma, almeno finora, completamente estraneo al contesto artistico. Gli esponenti della pop-art americana, sulla cui formazione influì l’esperienza New Dada, quasi in un filone di continuità posero al centro delle loro opere l’oggetto antiartistico per eccellenza, l’oggetto di consumo, prodotto in serie, creato dall’industria e pubblicizzato dai mass media. E proprio come Rauschenberg ne tentarono il riscatto attraverso tecniche di straniamento che conferissero all’immaginario dei consumi una nuova dignità estetica, elevandoli a oggetti cult. È quello che accade nell’opera Tire (1962) dello statunitense Roy Lichtenstein (1923-1997). L’artista scelse di ingrandire Roy Lichtenstein, Tyre, 1962, Museum of Modern Art, New York.  Copyright: www.flickr.com/photos/wallyg/2372594128 https://www.flickr.com/photos/wallyg/2372594128un prodotto della civiltà contemporanea, il pneumatico, conferendogli in questo modo l’autorità emblematica di un’icona. L’inserimento di una quotidianità diffusa nel contesto artistico divenne la risposta degli artisti pop all’esigenza di ristabilire una vicinanza tra l’operazione artistica e la realtà quotidiana di consumi e pubblicità assillanti.