Mercato del lavoro: aumentano in Italia i lavoratori “introvabili”

Gli imprenditori lanciano l’allarme da tempo e ora, a conferma e supporto di quanto denunciato, da un rapporto di Confartigianato arrivano i dati aggiornati (e sempre più preoccupanti): il tasso di lavoratori “introvabili” sul totale delle assunzioni nel luglio 2023 ha raggiunto quota 47,9%, contro il 40,3% dell’anno precedente. Un fenomeno che investe l’intera penisola (il primato a livello regionale spetta al Trentino-Alto Adige, che registra il 61,6% di personale di difficile reperimento) e interessa in maniera trasversale tutte le attività lavorative. Le cause sono molteplici, fra le principali il rapporto rileva la mancanza di candidati (32,4% del totale) e la loro inadeguata preparazione (10,8% del totale).
Ed è proprio il disallineamento fra le competenze dei candidati e le effettive esigenze delle aziende - già definito da più parti skill mismatch e oggetto di vari studi pre e post-pandemia - uno dei fattori più preoccupanti per la tenuta economica e produttiva a livello mondiale. La tecnologia, l’industria e - di conseguenza - il mondo del lavoro evolvono con una rapidità che probabilmente non ha precedenti nella storia: i rapporti sulle nuove professioni, sui trend a breve e medio termine si moltiplicano, e ciò che emerge quasi unanimemente è il fatto che fra le figure professionali più richieste fra cinque anni, ci sono professionisti che di fatto ancora non esistono.  “Serve un’operazione di politica economica e culturale che avvicini la scuola al mondo del lavoro, per formare i giovani con una riforma del sistema di orientamento scolastico che rilanci gli Istituti Professionali e gli Istituti Tecnici, investa sulle competenze a cominciare da quelle digitali e punti sull’alternanza scuola lavoro e sull’apprendistato duale e professionalizzante”, commenta Marco Granelli, presidente di Confartigianato. “Bisogna insegnare ai giovani che nell’impresa ci sono opportunità, adeguatamente retribuite, per realizzare il proprio talento, le proprie ambizioni, per costruirsi il futuro”, conclude Granelli. La naturale risposta a queste esigenze sembrano essere gli ITS - Istituti Tecnici Superiori, percorsi formativi post-diploma non universitari, nati in collaborazione con le imprese, con il preciso obiettivo di formare giovani professionisti con competenze e conoscenze altamente specializzate, immediatamente spendibili sul mondo del lavoro. Attualmente gli ITS sono 104 in tutta Italia, si sviluppano attorno a 6 percorsi tecnologici considerati cruciali per il futuro sviluppo dell’industria nazionale (Efficienza energetica, Mobilità sostenibile, Nuove tecnologie della vita, Nuove tecnologie per il Made in Italy - che a sua volta comprende cinque differenti percorsi tematici -, Tecnologie innovative per i beni e le attività culturali - Turismo, Tecnologie dell’informazione e della comunicazione) e, secondo i dati riportati sul sito ufficiale, vantano l’80% di studenti occupati entro un anno dal diploma.  
Anche il fronte della formazione universitaria, tuttavia, si dimostra sensibile a queste tematiche: emblematico è il caso dell’Emilia-Romagna, dove nel 2021 è nata la Fondazione Universitaria a orientamento Professionale, ancora una volta in stretta collaborazione con il mondo delle imprese, con l’obiettivo di promuovere e sostenere i corsi di laurea a orientamento professionale dei diversi atenei della Regione (che comprendono, fra gli altri, il corso di laurea in Meccatronica, attivato dall’Ateneo di Bologna, quello in Tecnologie per l’industria digitale, presso l’Ateneo di Ferrara, il corso di laurea in Tecnologie per l’industria intelligente, attivo nell’Ateneo di Modena). I corsi di laurea professionalizzanti hanno una durata triennale e sono strutturati fra formazione in aula, formazione in laboratorio e attività di tirocinio in azienda. Rimane un nodo importante da sciogliere: sono i cosiddetti Neet (acronimo di Not in Education, Employment or Training), persone fra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in programmi di formazione. Secondo i dati ISTAT in Italia sono 1,7 milioni. Ancora Granelli, presidente Confartigianato: “Di questo passo, ci giochiamo il futuro del made in Italy. Ecco perchè il dibattito su salario minimo e lavoro povero deve allargarsi ad affrontare con urgenza il vero problema del Paese: la creazione di lavoro di qualità.”