Molti dei materiali usati nella costruzione delle coperture sono derivati del petrolio e questo rende i pneumatici dipendenti da una risorsa limitata e ad alto impatto ambientale: è per questo che sia i produttori sia gli enti di ricerca si stanno impegnando per trovare materiali sostenibili.
Il termine “gomma” indica un’amplissima varietà di materiali che sono però invariabilmente caratterizzati dall’essere composti da elastomeri, materiali polimerici dotati di basso modulo di Young (si deformano quindi facilmente quando viene applicata una forza) ed elasticità elevata, caratteristica che li porta a recuperare rapidamente il loro stato originale quando la sollecitazione che li ha deformati viene a cessare. I polimeri “elastici” possono essere classificati in due grandi gruppi: gli elastomeri reticolati/reticolabili chimicamente (Cce) ed elastomeri termoplastici reticolati fisicamente (Tpe). Questa differenza si riferisce a come la reticolazione – il processo che crea i legami fra le catene polimeriche dando quindi le proprietà elastiche agli elastomeri – avviene. I Cce hanno in generale una resilienza migliore e una temperatura operativa più elevata grazie alle reti di legami covalenti tridimensionali che si vengono a creare durante la reticolazione; notiamo che elastomeri reticolabili sono generalmente chiamati gomme, composti le cui proprietà possono essere modellate per soddisfare le applicazioni richieste grazie a tutta una serie di additivi specifici.
Cercando di sostituire le fonti fossili
A oggi quasi tutti gli elastomeri sintetici commerciali provengono da risorse fossili ed è quindi imperativo cercare di sviluppare elastomeri a base biologica per ridurre le emissioni di carbonio e la dipendenza dalle risorse fossili, che sono comunque destinate all’esaurimento e sempre più al centro di tensioni geopolitiche. La cosa non appare semplice perché attualmente il petrolio è disponibile facilmente ed è una fonte abbondante di quelle molecole organiche che sono i ‘mattoni’ base della sintesi dei polimeri. I materiali polimerici e le sostanze derivate dal petrolio possono arrivare all’85% del peso di un pneumatico. Altri dati interessanti dicono che i pneumatici consumano circa il 60% della fornitura globale di gomma e di questa ingentissima quantità, il 60% è sintetico. Questa gomma artificiale dipende totalmente da idrocarburi come nafta, etano e benzene, che sono derivati da fonti non rinnovabili quali petrolio e metano; è da notare come questi composti siano solo una piccola parte della produzione petrolchimica mondiale. Gli elastomeri per la produzione dei pneumatici, siano essi basati su fonti fossili o rinnovabili, dovrebbero essere in grado di poter essere prodotti in grandi volumi, avere un costo relativamente basso e possedere proprietà fisiche adeguate. Le gomme derivate dal petrolio che soddisfano queste condizioni sono lo stirene butadiene (Sbr) e il polibutadiene (Br) presenti nella maggior parte dei componenti dei pneumatici, inclusi battistrada e fianchi; le varianti a base di butile sono prodotte con volumi inferiori ma sono molto importanti per i rivestimenti interni a bassa permeabilità.
Produzioni alternative e sostenibili
Una ricerca sviluppata da scienziati della Beijing University of Chemical Technology e del Laboratory of Reactions and ProcessEngineering della University of Lorraine a Nancy fa il punto della situazione degli elastomeri a base biologica derivati da biomasse come cellulosa, amido e olio vegetale e descrive le proprietà dei polimeri Cce e Tpe prodotti da fonti rinnovabili. I bio-Cce includono la gomma naturale ed elastomeri sintetici a base biologica. Le gomme naturali (NR, Natural Rubber) ottenute da piante del genere Hevea - che crescono però solo ai tropici - sono attualmente le uniche di origine biologica disponibili su larga scala. Le gomme naturali di seconda generazione sono estratte da specie diverse quali tarassaco, guayule e Eucommia Ulmoides, tutte specie che possono essere coltivate a latitudini più temperate. La gomma di tarassaco, chiamata anche Tks o Dr, è un’alternativa promettente perché il Taraxacum può essere coltivato a latitudini alte e le sue radici contengono dal 5 al 24% di una gomma simile a quella Hevea. Le sue proprietà meccaniche sono buone e sono già state individuate strategie per aumentarne la produzione come la selezione di nuove specie, la modificazione genetica, il miglioramento delle condizioni di coltivazione e l’ottimizzazione della procedura di estrazione. Gli elastomeri sintetici a base biologica derivano da monomeri a base biologica. Il guayule è un arbusto resistente alla siccità originario del sud-ovest degli Stati Uniti e del nord del Messico con un contenuto in gomma tipicamente pari all’8-12% in massa. La gomma che ne viene estratta ha un allungamento leggermente superiore a quella prodotta da Hevea e tarassaco perché ha un minor contenuto di polimeri ramificati. Il primo pneumatico per automobile alla gomma di guayule è stato prodotto nel 2017 e il suo ciclo-vita ha evidenziato un consumo energetico nel ciclo di vita di 13,7 GJ/pneumatico, significativamente inferiore a quello di una copertura di gomma convenzionale - 16,4 GJ/pneumatico - ovvero 3805,6 kWh contro 4555,6 kWh).
Sostenibilità anche per i filler
La gomma dell’Eucommia ulmoides generalmente si accumula nelle foglie, cortecce, radici e altre parti della pianta e, a differenza di quello che si riscontra nell’Hevea, gayoule e tarassaco, essa è composto principalmente da transisoprene piuttosto che da poliisoprene, cosa che conferisce una forte capacità di cristallizzare a temperatura ambiente. È quindi una plastica rigida con un’alta resistenza alla trazione ma può essere convertita in elastomero mediante idrogenazione. Si stanno compiendo sforzi per espandere le applicazioni di questa gomma nei pneumatici e nei materiali a memoria di forma: vulcanizzandola dinamicamente con un elastomero poliolefinico si ottiene un soddisfacente recupero della forma superiore al 95%. Si stanno studiando modifiche genetiche per aumentare la produzione e un gruppo di ricerca della Beijing University of Chemical Technology insieme a Ling Long Tire hanno costruito un impianto pilota per estrarre gomma di tarassaco e Eucommia con una capacità produttiva annua di 100 tonnellate. Un altro studio, condotto da ricercatori del Politecnico di Torino, del Cnr e dell’Istituto italiano di Tecnologia, ha esaminato le potenzialità del Biochar – Bc – che è il residuo solido ottenuto con il cracking termico di biomasse, anche di scarto, in atmosfera povera di ossigeno. L’uso del Bc come riempitivo nei compositi a base di polimeri, compresi gli elastomeri usati nei pneumatici, ha suscitato attenzione e lo studio ha evidenziato diversi vantaggi nell’utilizzo di Bc, a partire dall’economicità: esso costa infatti meno rispetto al classico carbon black che, a sua volta, è molto più economico rispetto al grafene o ai filler a nanotubi in Carbonio.
Enzimi di pomodoro, nuova frontiera dei pneumatici
Il BC promette migliori proprietà meccaniche, conducibilità elettrica e stabilità termica delle mescole, oltre a essere pienamente incluso nell’economia circolare, ma sono necessari ulteriori studi, per esempio per valutare la granulometria migliore, la resistenza agli agenti atmosferici e ai raggi UV ed eventuali meccanismi di degradazione. In chiusura citiamo anche le ricerche di Sumitomo Rubber Industries, che mettono in evidenza l’utilizzo di enzimi di pomodoro modificati come un catalizzatore della polimerizzazione in grado di selezionare a piacere i monomeri iniziali del polimero. SRI riferisce che “siamo ora riusciti a sintetizzare biopolimeri che incorporano monomeri iniziali che sono più favorevoli al miglioramento delle prestazioni dei pneumatici”. In questo modo si è riusciti a sintetizzare “biopolimeri completamente nuovi che incorporano monomeri iniziali selezionati a piacimento”. Sumitomo ritiene che questa biotecnologia possa non soltanto migliorare la sostenibilità dei suoi pneumatici ma anche sviluppare prodotti “che portino l’efficienza del carburante a livelli completamente nuovi per il 2040 e oltre”.