Energy harvesting, ‘raccogliere’ energia dalla rotazione degli pneumatici per alimentare i nuovi sensori”

Se i veicoli in generale sono ormai molto “sensorizzati”, e quindi teatro di un continuo scambio di informazioni, i pneumatici sono ancora piuttosto silenti. In effetti a oggi l’unico sensore usato su larghissima scala è quello del Tire Pressure Monitoring System – TPMS – che misura la pressione e spesso anche la temperatura. Questi dati sono importanti già di per loro ma da essi se ne possono inferire diversi altri come il lento quanto insidioso sgonfiamento dovuto a una piccola perdita. La necessità di un’altissima affidabilità, anche dal lato dell’alimentazione, spiega quindi il moltiplicarsi delle ricerche nel campo dell’Energy harvesting, quel “raccolto” di energia che deriva dalla rotazione delle ruote. Quest’esigenza di un’alimentazione affidabile sarà ulteriormente acuita dall’arrivo dei veicoli autonomi (che si prospetta alquanto più lento rispetto a quelli elettrici), che renderà questi sensori ancor più importanti e quindi la loro attendibilità e costanza di funzionamento sarà critica: il fatto che ci sia un guidatore umano a raccogliere un eventuale allarme dei sensori non sarà infatti scontato. L’affidabilità dei sensori sarà però cruciale ancor prima dell’arrivo delle auto-robot perché i pneumatici “intelligenti” saranno un elemento chiave anche per gli ADAS e per l’Internet of Vehicles (IoV), una rete che fa comunicare fra loro i veicoli, le infrastrutture e gli esseri umani. Ultimo ma non ultimo, avere sensori nelle ruote (cosa non facile perché si tratta di organi rotanti separati dal corpo vettura) permette di consumare di meno e prolungare la vita dei pneumatici, diminuendo le emissioni e il ricorso alle materie prime.

 

Cercare l’energia

I costruttori dei pneumatici stanno lavorando alacremente per aumentare l’intelligenza dei loro prodotti in modo che riescano a misurare e quantificare le interazioni pneumatico-fondo stradale. Queste informazioni condurrebbero a utilissime stime quali la distanza d’arresto, grip, angolo di deriva, condizioni della strada e usura dei pneumatici: dati fondamentali che implicano però una sensoristica ancor più evoluta. Uno studio delle prospettive per la raccolta di “energia vibrazionale” è stato condotto dalla Mohammed V University di Rabat (Marocco). Si tratta di convertire le vibrazioni (le ruote che girano ne producono in abbondanza) in energia elettrica che possa alimentare i sensori che rendono i pneumatici “intelligenti”. Gli attuali TPMS contengono un sensore di pressione (eventualmente combinato con quello di temperatura), un’interfaccia verso l’unità di controllo (ECU), un trasmettitore radio che invia i segnali alla centralina del veicolo e, per l’appunto, una batteria. Il tutto consuma mediamente 0,45 mW se i segnali vengono inviati alla frequenza di 1 Hz (una volta al secondo); se la cadenza di trasmissione aumenta sale anche il consumo energetico. Possibili “convertitori” di energia meccanica vibrazionale in elettrica sono i materiali piezoelettrici che manifestano una differenza di potenziale se vengono stressati meccanicamente. Si stanno quindi studiando elementi piezoelettrici sollecitati dalle flessioni dei fianchi dei pneumatici o da oscillazioni di masse calibrate poste all’estremità di piccoli “pendoli” che percuotono l’elemento piezoelettrico. Questi elementi oscillanti vengono tarati in base alla rotazione della ruota, con un processo che parte con l’analizzare lo spettro delle vibrazioni delle ruote e cioè scomporre, con l’analisi di Fourier, la vibrazione complessiva nelle sue componenti elementari. Fra le componenti più accentuate ci sono quelle a bassa frequenza (da 6 a 16 Hz) che corrispondono alla rotazione delle coperture per velocità comprese fra 40 e 105 km/ora: i pendoli citati più sopra vanno quindi tarati per oscillare a queste frequenze in modo da massimizzare il trasferimento di energia agli elementi piezoelettrici.

 

Deformazioni che creano energia

La generazione di energia che usa la deformazione dei pneumatici per sollecitare elementi piezoelettrici sta sperimentando varie strade. Una è inserire una sorta di “anello piezoelettrico” fra le cinture metalliche del pneumatico: la compressione e il rilascio della carcassa durante la rotazione sollecita ciclicamente l’anello generando energia elettrica. Un altro schema prevede elementi piezoelettrici sistemati fra il pneumatico e il cerchione che vengono compressi alternativamente quando la copertura incontra il manto stradale. Materiali piezoelettrici anche per la soluzione che li vede sistemati sulla faccia interna del battistrada: essi si allungano quanto la copertura si appiattisce contro il manto stradale e comprimono quando la carcassa ritorna circolare, generando una tensione elettrica alternata. I materiali generalmente usati sono la ceramica PZT (piombo-zirconato di titanio) e il fluoruro di polivinilidene polimerico. Sumitomo Rubber Industries ha invece usato un approccio diverso, creando energy harvester costituiti da membrane di forma ondulata, una caricata negativamente e una positivamente, poste una di fronte all’altra. Le deformazioni generate nell’area di contatto con il suolo “spianano” ciclicamente le membrane e questo movimento relativo genera per attrito cariche elettriche che, raccolte da elettrodi di gomma conduttiva, scorrono su un carico che può essere un sensore. Altre ricerche riguardano microgeneratori basati su magneti che oscillano all’interno di bobine di filo di rame e pendoli misti con asse rivestito di materiale piezoelettrico e un magnete all’estremità che, interagendo con un magnete posto nelle vicinanze, assicura oscillazioni a qualsiasi velocità. I sistemi magnetici sembrano molto promettenti in termini di potenza generata.

 

Il futuro dei sensori

Proviamo ora a vedere come potrebbero evolversi i sensori nei pneumatici, iniziando proprio da Sumitomo e dai suoi microgeneratori a elettricità statica. Sistemandone diversi, allineati dal centro ai fianchi, e analizzando le forme d’onda dell’elettricità prodotta da ognuno (si tratta di tensione alternata) si può calcolare l’usura dei pneumatici. Quando il battistrada è nuovo gli energy harvester più vicini ai fianchi della copertura si deformano di meno e quindi la tensione da loro prodotta è molto minore di quella data dai dispositivi più vicini al centro ma quando l’usura “appiattisce” il battistrada la tensione tende a livellarsi e dando uniformità si riesce a estrapolare il consumo del battistrada stesso. Da Izze-Racings abbiamo invece un Tire Temperature and Pressure Monitoring System che è un TPMS all’ennesima potenza. Il suo sofisticato sensore all’infrarosso rileva infatti la distribuzione della temperatura all’interno del pneumatico in ben 16 punti diversi. Anche il sensore digitale della pressione è molto evoluto dato che, lavorando a 24 bit, offre una precisione molto elevata. L’energy harvesting è quindi benvenuto perché promette un’affidabilità migliore a questi evoluti sensori prossimi venturi. Questa breve rassegna ha dato un, seppur limitato, giro d’orizzonte sulle prospettive dei sensori nei pneumatici e dei sistemi per alimentarli. Anche se gli Energy harvester sono ancora in fase sperimentale è più che probabile che essi arriveranno nelle coperture, insieme a sensori evoluti. Gli operatori del settore dovranno quindi formarsi per poter manutenere e riparare le future coperture intelligenti, che necessiteranno anche di diagnosi e tarature più articolate rispetto a quelle richieste dagli attuali TPMS.